I
caratteri
della cucina piacentina derivano principalmente da due tradizioni,
fra loro molto diverse e lontane, che nel corso dei secoli si sono
di volta in volta ignorate o influenzate: la contadina e quella
propria della nobiltà.
La prima è certamente la più diffusa e pervasiva,
quella i cui piatti e le cui ricette, più o meno variate
nel corso dei tempi, specie dal secondo dopoguerra in poi, sono
tuttavia giunte fino a noi, continuando ancor oggi in larga misura
a costituire la parte più significativa e singolare del menù
piacentino.
Si tratta di una cucina strettamente legata ai lavori e ai prodotti
dei campi, sia delle zone di pianura che di quelle collinari o di
media montagna. E' costituita da piatti semplici e robusti, per
appetiti gagliardi, con ingredienti di provenienza agricola, scarsamente
lavorati, che vanno a imbandire una tavola sì povera, ma
dai gusti solidi e precisi, che riuscivano a riempire la pancia
con il minimo di spesa e il massimo di rendimento calorico.
Il secondo filone gastronomico, quello di derivazione ricca ed elaborata
anche culturalmente, legata agli ambienti nobiliari ed ecclesiastici,
si è andato lentamente ma inesorabilmente smarrendo o assimilando
- in buona misura snaturandosi - alle mutate esigenze storiche.
Di
ciò che riempiva le mense rinascimentali e seisettecentesche
della nobiltà facoltosa e del clero, rimane ben poco, soppiantato
via via dai gusti e dalle necessità imposte dalle mutate
condizioni sociali ed economiche.
Essendo, inoltre, Piacenza terra di confine in tutti i sensi,
la cucina ne ha assimilato abbondantemente gli influssi provenienti
dalle regioni limitrofe, soprattutto dalla Lombardia, dalla Liguria
e dal "cuore" dell'Emilia autentica, culinariamente
piu opulenta e originale.
Volendo
indicare alcuni piatti tipici della nostra Città e provincia
possiamo senza dubbio accennare - per quanto riguarda le minestre
ai vari tipi di anolini o anellini, alla bomba di riso, ai malfatti,
ai risotti, ai tortellini, agli gnocchi di patate, ai panzerotti,
ritagliando però un posto a parte ai tortelli di ricotta
e spinaci, avvolti in una sfoglia la cui sottigliezza è
un vanto, ai famosi pisaréi e fasò, specialità
che non può mancare di venir gustata dal seppur frettoloso
e occasionale visitatore di queste terre. Si tratta di gnocchetti,
conditi con stuzzicante sugo a base di olio, burro, lardo pestato,
cipolle, pepe e, ovviamente, fagioli borlotti, un vero piatto
macrobiotico ante litteram, che riunisce in una sola pietanza
le peculiarità nutritive dei cereali e dei legumi. Per
i ghiottoni itineranti che si inoltrano nelle vallate non mancano
poi ottimi risotti a base di funghi freschi e tartufi.
Passando
ora ai secondi piatti, bisogna ricordare i vari tipi di arrosti
e umidi, sia a base di cacciagione, che di animali da cortile,
più rare la faraona alla creta, la pancetta con i piselli,
la polenta e merluzzo o la pulaita e quai, largo spazio invece
nella stagione invernale all'ottima carne di cavallo, per lo più
tritata, assaporata cruda con poco condimento o cotta (picula
ad cavàll), quindi agli stracotti e alla frità cui
bavaron, per chi cerca un'alternativa alle carni. Una menzione
a parte merita la classica bortellina (o burtlèina o burt-lena),
nelle sue molte varianti: frittella calda, saporitissima, da gustare
a sé o ancor meglio farcita con fettine di formaggio dell'Appenninico,
morbide e salate, o di prosciutto.
Per
i dolci, oltre alle varie torte (di mele, di farina di castagne,
di prugne, di mandorle, di patate), ai turtlitt quaresimali, ai
croccanti di nocciole, meritano particolare cenno i buslanèi
(ciambelline) e il buslàn (ciambella), tipici dolci contadini
di semplice fattura e pronto consumo, da intingere a fine pasto
nel vino bianco (soprattutto il buslàn) o al mattino, a
colazione, nel latte (i buslanèi).
Altri
piatti della cucina popolare, ricchi di sapori forti, sono le
potente variamente condite (con formaggio, stracchino, patate,
ciccioli), il riso con il latte, la zuppa con l'olio, ancora oggi
gustati in particolari feste e riunioni tradizionali.
In
quanto ai vini, già all'incirca 2000 anni fa, Cicerone,
durante un'arringa senatoria, rivolgendosi non proprio amichevolmente
all'avversario Lucio Calpurnio Pisone, gli rinfacciava di alzare
spesso il gomito con "gli squisiti vini piacentini",
a riprova di quale tradizione possano vantare nella nostra provincia
i nettari della vite. Non pochi di questi, negli ultimi anni,
hanno avuto un grande rilancio commerciale e di immagine, e alcuni,
come il pregiatissimo rosso Gutturnio, il bianco Monterosso della
Val d'Arda e il Trebbianino della Valtrebbia, hanno ottenuto l'etichetta
di Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.). Oltre alle varietà
più famose e prelibate, non vanno certo dimenticati né
sottovalutati il rosso e robusto Barbera, l'amabile Bonarda, oltre
ai bianchi della Valtidone e alla diffusissima e ottima, con i
dessert, frizzante Malvasia. Anche per i formaggi, così
come per i vini, la tradizione della provincia è tanto
ricca, quanto antica.
Infatti
se ne trovano molteplici menzioni in documenti romani e medioevali,
per non dire poi dei fiumi d'inchiostro, versati dal `500 in avanti
da dotti storici e fini intenditori, per rivendicare primati a
questo o a quel prodotto.
I
due tipi fondamentali di formaggio piacentino sono il grana, nella
Bassa limitrofa al Po e la ribiòla, prodotta, invece, sui
pascoli di montagna. Sorvolando sulle secolari e mai risolte diatribe
riguardo la paternità del grana (se sia cioè, di origine
piacentina, o lombarda o emiliana), si deve ricordare che si tratta
del cagliato tipico della pianura, di latte di vacca, a forma tonda
e a pasta dura, mentre la ribiòla può essere composta
con solo latte di pecora, oppure con latte di pecora e vaccino insieme,
di solito consumata fresca, o conservata in vasi di vetro, coperta
d'olio e messa a stagionare imo a diventare piccante. Accanto ai
due sopraddetti protagonisti da ricordare i vari tipi di ricotta
e i molti formaggini di montagna, spesso venduti nei mercati cittadini
o durante le fiere dei principali centri di pianura. Giustamente
famosi sono infine i salumi prodotti nel Piacentino, complemento
indispensabile per ogni pasto degno di questo nome. I due principali
insaccati tipici sono il salame e la coppa, per la difesa della
cui qualità è stato di recente creato un marchio ad
hoc. Un posto di rilievo occupano anche la pancetta e la spalla
cotta, mentre per il raro e prelibatissimo culatello, la cui paternità
è rigorosamente parmigiana bisogna spostarsi sull'estremo
lembo nord orientale della provincia, nel comune di Villanova sull'Arda,
confinante, appunto con i territori parmensi. |